Mammografia: come si esegue e quando farla - Emergency Live

2023-03-08 14:00:32 By : Mr. bellen hou

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La mammografia viene eseguita in regime ambulatoriale e non necessita di alcun tipo di preparazione.

Si consiglia di non applicare il giorno stesso dell’esame – sotto le braccia o sul seno – deodoranti, lozioni e, soprattutto, talco perché può presentarsi, nell’immagine radiografica, sotto forma di puntini bianchi simulanti micro-calcificazioni patologiche.

L’esame andrebbe eseguito, preferibilmente, nella prima parte del ciclo mestruale quando minori sono l’addensamento e la tensione della ghiandola mammaria.

Inoltre, in questa fase, c’è la certezza che la donna non sia incinta.

Infatti, sebbene le radiazioni emesse dai mammografi di ultima generazione siano a bassissimo dosaggio, non si può escludere un rischio teratogeno per il feto, in particolar modo nei primissimi mesi di gravidanza.

La mammografia si può eseguire presso gli ospedali che dispongono di strumentazioni adeguate o presso centri sanitari attrezzati e in regola con le disposizioni relative ai gabinetti radiologici.

Allo scopo di favorire il ricorso alla mammografia come strumento di screening, in occasione di campagne per la prevenzione di tumori al seno, molti ospedali, centri oncologici, gruppi di operatori sanitari, sostenuti da associazioni di volontariato, eseguono l’esame su centri mobili opportunamente attrezzati.

L’unità viene utilizzata esclusivamente per esami radiografici del seno, con accessori speciali che consentono di esporre ai raggi X la sola parte bersaglio.

La mammella è un organo costituto da tessuto fibro-ghiandolare immerso nel tessuto adiposo.

Questa sua conformazione la rende particolarmente adatta ad una indagine radiografica e alla identificazione di alterazioni anche millimetriche del suo tessuto.

Infatti, diversamente dalle ossa che assorbono gran parte delle radiazioni e per questo appaiono bianche sulla radiografia, i tessuti molli (muscoli, grasso, organi), facilmente penetrabili ai raggi X, si presentano in varie tonalità di grigio a seconda della loro consistenza: ciò permette l’individuazione di formazioni patologiche che si presentano con una struttura diversa rispetto al tessuto circostante.

Con la moderna mammografia digitale, le cosiddette lastre – dove un tempo venivano impresse e poi stampate le immagini – sono sostituite da componenti elettronici che convertono i raggi X in immagini mammografiche trasmesse direttamente su computer per la lettura da parte del radiologo e per la conservazione a lungo termine.

Questo sistema, molto simile a quello delle fotocamere digitali, consente di ottenere immagini di migliore qualità con una dose inferiore di radiazioni.

Un tecnico radiologo posiziona il seno sulla apposita piattaforma dell’unità mammografica e lo comprime gradualmente con una paletta di plastica trasparente.

Questa procedura può provocare dolore, che tuttavia permane solo per il tempo necessario all’espletamento dell’esame.

La compressione della mammella è necessaria perché permette di uniformare lo spessore dell’organo in modo da visualizzarlo nella sua interezza e comporta una minore dose dei raggi X e una maggior qualità dell’immagine in quanto viene esaminato uno strato più sottile di tessuto.

L’esame di screening dura complessivamente dai 5 ai 10 minuti ed è condotto dal tecnico radiologo.

La mammografia clinica, invece, può richiedere un numero maggiore di proiezioni, tra cui quelle ingrandite per lo studio e l’approfondimento di particolari.

Necessita della presenza del medico e può associarsi a visita senologica e ad esame ecografico.

La mammografia non presenta particolari controindicazioni.

Nelle donne sotto i 40-45 anni di età può risultare meno leggibile rispetto all’ecografia e ciò a causa della densità della ghiandola mammaria.

Si esegue la mammografia clinica ogni qualvolta, indipendentemente dall’età, si presentano anomalie della mammella, rilevate dal medico o dalla paziente stessa, allo scopo di valutarne la natura.

Si esegue la mammografia di screening, fondamentale per la diagnosi precoce perché può svelare alterazioni del tessuto mammario diversi anni prima della valutazione clinica, con cadenza biennale in donne di età compresa tra i 50 e i 69 anni, secondo le indicazioni delle linee guida internazionali per la prevenzione del cancro al seno, riprese ed adottate dal Ministero della Salute Italiano.

La partecipazione allo screening con questa frequenza e modalità riduce la mortalità del 30%.

Diverse istituzioni, soprattutto negli Stati Uniti, raccomandano l’inizio dello screening a partire dai 40 anni con cadenza annuale o biennale, ma non vi è accordo sull’utilità di questa procedura.

Infatti, al di sotto dei 50 anni, la struttura della mammella è ancora molto densa, pertanto non facilmente penetrabile dai raggi X e con conseguente sensibile riduzione di capacità diagnostica dell’esame mammografico.

La maggior parte degli studi non ha registrato diminuzione di mortalità nel caso di donne sottoposte a screening in età compresa tra i 40 e i 50 anni.

L’allungamento della vita e il protrarsi di un buono stato di salute, unitamente all’efficacia diagnostica, hanno indotto i ricercatori a ritenere vantaggiosa l’estensione dell’età di screening fino a 74 anni.

Però, anche sui benefici di questa strategia non si hanno dati convincenti.

L’esposizione alle radiazioni mammografiche ionizzanti non è da considerarsi pericolosa.

In particolar modo la mammografia digitale, rispetto alla mammografia analogica tradizionale, riduce ulteriormente la quantità di raggi X rilasciata sulla mammella.

Gli studi scientifici smentiscono che le dosi di radiazioni utilizzate in mammografia possano far aumentare il rischio di tumori sia al seno che in altri distretti, anche sottoponendosi all’esame più volte nella vita.

Lo screening del tumore della mammella è ormai una pratica consolidata che si è dimostrata efficace nel ridurre la mortalità per questo tumore.

Tuttavia, la procedura presenta limiti sia in difetto (falsi negativi), sia in eccesso (falsi positivi e sovradiagnosi).

Si stima che nel 20-30% dei casi (cioè, 5 donne su 1000 che hanno eseguito la mammografia biennalmente nell’arco di 10 anni) la neoplasia non viene evidenziata dall’esame radiografico.

Le cause della mancata diagnosi sono da ricercarsi nella dimensione e nelle caratteristiche del tumore (o troppo piccolo o poco definibile per scarso contrasto), nella struttura della ghiandola mammaria troppo densa, in errori di interpretazione o in mancata individuazione della lesione da parte del radiologo.

Le protesi mammarie sono di ostacolo a letture accurate della mammografia poiché, sia quelle al silicone che quelle saline, non sono trasparenti ai raggi X e possono ostacolare la visione chiara dei tessuti circostanti, specialmente se l’impianto è stato posizionato di fronte piuttosto che sotto i muscoli del torace.

La mammografia può evidenziare una lesione maligna ma non suscettibile di progressione: dunque, ininfluente per la qualità e l’aspettativa di vita della donna.

Purtroppo, però, a tutt’oggi non disponiamo di esami in grado di stabilire se il tumore rilevato progredirà o resterà indolente, per cui esiste la possibilità, peraltro non quantificabile, di diagnosi di una lesione – con i conseguenti approfondimenti diagnostici e successivi trattamenti – che non si trasformerà in cancro invasivo potenzialmente mortale.

Le ricerche aggiornate fanno ritenere che questo rischio sia inferiore ai benefici che si ottengono eseguendo lo screening secondo lo schema di protocollo.

La mammografia può evidenziare lesioni sospette per tumore che non vengono confermate dagli esami di approfondimento successivi.

Si stima che il 24% delle donne (cioè, quasi 1 su 4 che esegue la mammografia biennalmente in 10 anni) riceva almeno una volta nell’arco dei 10 anni una diagnosi che, con gli esami successivi, si rivelerà un falso allarme.

Tali esami possono essere invasivi, come la biopsia, e ovviamente causano preoccupazione ma il vantaggio di escludere o confermare la presenza di un tumore supera di gran lunga qualsiasi disagio.

La differenza tra ecografia e mammografia sta nella peculiarità delle apparecchiature che portano a differenti modelli d’indagine.

L’ecografo utilizza una sonda che emette ultrasuoni. Le onde sonore emesse vengono riflesse in modo diverso sui tessuti o sugli organi interni e producono diversi tipi di echi, poi trasformati in immagini sullo schermo di un computer.

I due sistemi sono pertanto complementari.

Nelle donne più giovani, in cui il tessuto ghiandolare è più denso, i risultati dell’ecografia offrono maggiori informazioni rispetto alla mammografia.

Permette infatti di individuare eventuali neoformazioni all’interno del seno, di distinguere tra neo-formazioni a contenuto liquido e a contenuto solido, di individuare fibroadenomi e aree di mastopatia fibrocistica che sono impermeabili all’esame mammografico.

Nelle donne al di sopra dei 50 anni, le cui mammelle presentano una percentuale maggiore di tessuto adiposo, la mammografia trova la sua principale indicazione per l’individuazione di lesioni tumorali anche millimetriche.

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